Per spazio confinato si intende uno spazio circoscritto, caratterizzato da accessi e uscite difficoltosi o limitati o da una ventilazione naturale sfavorevole. L’ambiente angusto da cui può essere difficile uscire, in presenza di agenti pericolosi (ad. es. gas, vapori, polveri, atmosfere esplosive, agenti biologici, rischio elettrico, etc.) o in carenza di ossigeno può causare infortuni gravi, fino al decesso del lavoratore.
Ogni ambiente di lavoro in cui il livello di ossigeno può scendere sotto il 17% deve essere qualificato come ambiente confinato o ambiente sospetto di inquinamento, quindi è da trattare come ambiente pericoloso per le persone che vi operano. Questa situazione può riscontrarsi anche all’aperto, creando situazioni particolarmente insidiose.
Dalla cronaca abbiamo dovuto imparare che in questi ambienti di lavoro l’infortunio si verifica con maggiore frequenza, aggravandosi nei casi in cui l’assenza o l’inadeguatezza delle procedure di prevenzione e di emergenza coinvolge più persone, provocando la morte non solo dell’infortunato ma anche dei soccorritori.
La normativa impone dei criteri molto rigorosi per la gestione delle attività lavorative negli ambienti confinati, richiedendo esperienza in campo e specifici contratti di lavoro a salvaguardia del lavoratore, non solo all’interno dell’azienda committente ma anche e soprattutto quando le attività pericolose vengono affidate ad aziende terze.
In questo caso è necessario che i soggetti coinvolti abbiano le competenze tecniche per poter qualificare un ambiente di lavoro come ambiente confinato o ambiente sospetto di inquinamento e che verifichino il possesso dei requisiti che il DPR 177/2011 impone alle aziende che operano in ambienti confinati.
La responsabilità della gestione in sicurezza di questi ambienti potenzialmente tossici viene spartita infatti tra azienda esecutrice e azienda committente.
Da qui l’importanza di formare il personale che opera in campo ma anche chi è addetto a selezionare le aziende esterne appaltatrici, per una corretta e approfondita verifica del contesto in cui i lavoratori andranno ad operare.
La formazione dei lavoratori, infine, non dovrà essere solo teorica ma dovrà riservare ampio spazio dedicato all’addestramento: la prova di recupero di un ferito in ambiente confinato, l’imbragatura della persona, l’utilizzo del treppiedi di emergenza, etc.. Solo l’aver “provato” un soccorso in situazione di emergenza, formerà efficacemente l’operatore.
In mancanza di istruzioni pratiche, infatti, si lascia campo libero all’istinto reattivo che in situazioni estreme può portare a scelte irrazionali con tragiche conseguenze.
Cosa fare allora? Un addestramento in campo, serio, efficace, con aggiornamento continuo. Là dove è possibile sarà utile proporre la simulazione dell’emergenza attraverso la realtà virtuale, facendo provare al lavoratore un intervento con caratteristiche molto simili a quelle che si verificano nella realtà. Tramite la formazione crediamo che sia possibile, se non scongiurare completamente gli infortuni mortali, almeno prepararci a fronteggiare l’emergenza con tutte le nostre potenzialità cognitive ed esperienziali.
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