PADOVA, IN OCCASIONE DEGLI 800 ANNI DALLA NASCITA DELLA SUA PRESTIGIOSA UNIVERSITÀ, RICORDA IL MEDICO CHE HA DATO ORIGINE ALLA MEDICINA DEL LAVORO PIÙ DI TRECENTO ANNI FA: IL PROFESSOR BERNARDINO RAMAZZINI
“Prevenire è meglio che curare”. È una frase che abbiamo detto tutti almeno una volta nella vita. Ma forse non tutti sappiamo chi è l’autore di questa frase.
Si tratta di Bernardino Ramazzini, illustre medico e professore della storica Università di Padova dal 1700 al 1714.
La sua opera omnia “De morbis artificum diatriba” (Il Trattato delle malattie degli artefici), è stato il primo testo, nella storia della medicina, ad effettuare uno studio sistematico sulle malattie in relazione ad attività che oggi dovremmo definire “usuranti”.
Ramazzini, infatti, è considerato il padre della medicina del lavoro: fu il primo medico a ricercare in modo metodico negli ambienti di lavoro le cause delle malattie dei lavoratori; a discutere se quelle cause potevano essere rimosse o almeno attenuate; a studiare la morbilità degli abitanti che vivevano nelle vicinanze dei luoghi di lavoro e a fissare il principio fondamentale della prevenzione primaria.
Come nasce quest’opera? “Semplicemente” dalle esperienze di osservazione che Ramazzini dedicava alle condizioni lavorative dell’epoca ed ai colloqui frequenti che sosteneva coi lavoratori relativamente alle cause dei loro disturbi. La grande innovazione del Ramazzini è stata, infatti, quella di andare al di là del caso clinico individuale e mettere in associazione la malattia alla pratica del mestiere esercitato.
Grazie a questa instancabile indagine, egli riesce ad elaborare una serie di suggerimenti atti a prevenire i danni del lavoro in oltre 50 tipologie di occupazione.
n pratica una classificazione di quelli che noi, oggi, chiameremmo “rischi da lavoro correlato”. Con quest’opera ha messo a punto un metodo di indagine standardizzato, dove analizzava a 360 gradi ogni mestiere considerato. Studia, per esempio, il ciclo lavorativo e le modalità con le quali i lavoratori svolgono la propria mansione. Esamina le tecniche e le materie prime utilizzate, analizza le condizioni di salute attuali dei lavoratori che hanno praticato quel mestiere in passato. Verifica gli atteggiamenti di autotutela adottati dai singoli lavoratori e suggerisce i dispositivi di protezione individuali, propone buone tecniche di movimento e comportamento, etc.
Quello che più colpisce è che la prima edizione dell’opera risale al 1700, quindi ben 322 anni fa. Ma Ramazzini ci aiuta ancora oggi a distinguere in due classi i principali fattori di rischio dei lavoratori:
Ramazzini è il medico dei lavoratori. Egli si reca personalmente nei luoghi di lavoro, osservandone le condizioni igieniche, le sostanze lavorate e le procedure seguite. In sede di anamnesi, egli raccomanda esplicitamente di interrogare in dettaglio il paziente anche sul tipo di attività svolta.
Afferma apertamente la dignità tanto delle arti liberali quanto dei lavori più modesti.
La sua indagine sulle malattie dei minatori, dei doratori, dei ceramisti, dei vasai, degli stagnai, dei fabbricanti di specchi, dei fabbri, dei pittori, di coloro che svuotano le fogne (è osservando proprio uno di loro che Ramazzini fu spinto ad iniziare la sua indagine sui mestieri), dei tintori, dei conciatori, delle levatrici, delle nutrici, delle lavandaie, delle tessitrici e dei tessitori, dei facchini, dei marinai, dei falegnami, dei ramai, dei contadini, dei pescatori, ed altri ed altri ancora, riempie di ammirazione a distanza di secoli.
Al punto che l’associazione tra ambiente e salute, la correlazione tra ambiente e patologia, la storia lavorativa di ogni paziente ed i consigli di pratiche di prevenzione sono ancora attuali all’origine del ruolo del Medico Competente nella medicina del lavoro e del Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
In questa città [Modena…] c’è la consuetudine di pulire, ogni tre anni, le fogne […] Mentre si faceva questo lavoro in casa mia, mi resi conto che uno di questi vuotatori lavorava in quell’antro infernale con grande sveltezza. Mosso a compassione […] gli chiesi perché lavorasse con tanta fretta [...]. Il poveretto, alzando gli occhi da quell’antro e guardandomi, disse: Nessuno, se non lo prova, può immaginare cosa significhi stare in questo posto più di quattro ore; si rischia di diventar ciechi. Quando uscì dalla fogna esaminai attentamente i suoi occhi e vidi che erano molto arrossati e velati […]. Allora gli chiesi come facessero i vuotatori di fogne a curarsi tali disturbi. Rispose: Ritornando subito a casa, come farò io ora; si chiudono in una camera buia e vi rimangono sino al giorno seguente lavandosi di quando in quando gli occhi con acqua tiepida; questo è il solo modo per trovare qualche sollievo.
(dal Capitolo XIV del De morbis artificum diatriba, B. Ramazzini)
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